Il suono delle "launeddas", tipico 
strumento a fiato sardo, precede il passaggio del Santo fra le folla che si accalca, che vuole 
toccare il cocchio, che, commossa, partecipa al secolare rito. 
E passa, Efisio, tra la sua gente che non ha dimenticato i suoi interventi a favore di Cagliari e 
della Sardegna: come quando, nel 1793, liberò la città dall'assedio francese oppure, nel 1943, 
attraversò la città fatta a pezzi dalle bombe della "Grande Guerra", raccogliendo le lacrime e 
la disperazione dei cagliaritani che seppero, anche in quella occasione, ricostruire la città in 
pochi anni.
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Giunto di fronte al Municipio, in una 
Via Roma infiorata (è il rito de "sa ramadura"), il cocchio del Santo viene salutato dalle sirene 
delle navi in porto e da un'ovazione della gente presente che, in piedi, si segna al suo 
passaggio. 
La sagra, a quel punto, diventa festa di campagna: si passa per La Maddalena, Su Loi, 
Sarroch, Villa San Pietro, Pula e Nora. Dovunque si ripetono delle piccole sagre, con 
celebrazioni religiose e banchetti dove tutti sono invitati, nel segno della massima 
accoglienza e ospitalità.
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Il 4 maggio la strada 
del ritorno: solo a tarda sera, alla luce di mille fiaccole, Sant'Efisio dentro 
il suo cocchio, fa rientro nella sua chiesetta stampacina. 
Ancora fra migliaia di devoti che fanno ressa per poter entrare nel piccolo tempio, per stare 
ancora vicino al "loro" santo protettore. 
"Atrus annus" è il saluto e l'augurio che ci si scambio. "Ad altri anni", perché a Stampace il 5 
maggio si pensa già alla sagra dell'anno successivo. 
E così da 353 anni.
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